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Siedo alla mia scrivania affollata di libri e disegni quando, sbirciando dalla finestra, mi accorgo che fiocchi di neve cadono leggeri e lenti come fossero batuffoli di cotone versati da una cesta, da qualcuno su nel cielo. Roteano come ballerine, a tratti creano vortici e in tutto questo magico silenzio, la mente e il cuore possono viaggiare.

Immagino di essere chiusa in un solitario e sicuro castello, tra colline e prati verdi.

Non comprendo bene il motivo, ma quest’atmosfera mi trascina nel Medioevo e mi ricorda la magia di fortezze e castelli. Nutro una grande passione per questo periodo storico: tempi forse bui, eppure avvolti da irresistibile fascino: “l’amor cortese”, le giostre tra valorosi cavalieri, e pure ricco di invenzioni come l’avvento della polvere da sparo, la fabbricazione dei primi e buffi e occhiali, appesi sul naso. L’invenzione del bottone quale raro gioiello, che con il passare dei secoli diviene povero e quotidiano, così come tante altre curiosità.

Tutto questo lo posso applicare al Castello di Cernusco Lombardone.

Non si tratta certo di una maestosa fortificazione, eppure questo castello ha il potere di trasportare la mente nei secoli, specialmente in quel Medioevo cupo e misterioso, ma non privo di gentilezza e di romanticismo.

Cernusco Lombardone è un paese dalla storia molto antica, un luogo suggestivo, caratterizzato da storie e scorci affascinanti, seppure di passaggio dalla Strada Provinciale 342 Briantea. Paese timido, svela nulla o poco di sé.

Doveva trattarsi di un territorio abitato sin da tempi lontani, pare addirittura sin dal Neolitico; il nome stesso ha origini curiose e complesse. Cernusco, da Cis Munusculum ossia “dono”, significherebbe “al di qua di una piccola donazione”, a voler significare una terra con appezzamenti donati a legionari romani. Una seconda interpretazione trae invece origine da Cisinuscoli cioè “al di qua del bosco”, intendendo forse quell’ampia zona boscosa che dalla collina di Montevecchia continuava lungo le vicine zone pianeggianti. Ed ancora da Cinisia ovvero “cenere” e da ultimo “villaggio” dalla lingua del popolo celtico. A completamento del nome, Lombardone: Longobardorum, un chiaro riferimento al popolo dei Longobardi.

Avevo fissato un appuntamento con gli attuali proprietari. Avrei visitato finalmente il Castello! La giornata era insolitamente tiepida, il sole era alto ed il cielo limpido, i colori meravigliosi dell’autunno, misti alla luce brillante, rendevano il paesaggio ancora più affascinante. Parcheggiai poco distante da via Puecher, in quello che è oggi un nucleo residenziale, proprio nei pressi del castello. Cercavo nel mentre di immaginare come potesse essere questa località nel Medioevo: solamente un bosco in mezzo al quale svettava maestoso il castello.

Dopo essermi guardata un po’ attorno, scorsi delle mura ed una torre ferita e decapitata, far capolino tra gli alberi. Mi avviai in quella direzione. Varcai un elegante cancello ombreggiato da varie essenze arboree, percorsi un breve tratto di viale che solcava due ali di prato verde e raggiunsi infine il proprietario, che mi accolse con distinta cordialità. Ero trafelata, munita di taccuino e macchina fotografica e già distratta da quel piccolo ma suggestivo borgo di favola.

Iniziamo subito la visita. Davanti a me un raccolto nucleo fortificato. Tutto è rimasto intatto, ben curato, perfettamente restaurato e ristrutturato, davvero una preziosa bomboniera. I proprietari hanno riportato il castello al suo splendore originario, intervenendo in modo fedele e non invasivo, quando nei primi anni Novanta del secolo scorso, lo acquistarono e lo trasformarono nella propria dimora per vivere una quotidianità assai speciale, con i propri ospiti.

Ogni scorcio del castello sembra aver qualche segreto da svelarmi. Il viale acciottolato addirittura mi invita ad immaginare il suono ritmico degli zoccoli dei cavalli che, stanchi, passeggiano lenti di ritorno da avventurose battute di caccia nei boschi. Così pure quelle mura di pietra mi parlano del terribile tuonare di cannoni, che si contrappone al dolce cinguettio degli uccellini danzanti tra i rami ormai spogli del bosco vicino.

Percorriamo il viale principale, mentre camminiamo a ritroso nei secoli. Era l’anno Mille quando fu edificato il castello; pochi decenni a venire il maniero divenne la sede del signore locale.

Come la storia ci insegna, i conti, con delega dell’imperatore, cedevano l’amministrazione delle loro terre a nobili di minor potere. Furono anni di scontri e battaglie, gli anni del Barbarossa, avvolti tra storie ed aloni di mistero: le leggende narrano di questo imperatore rifugiato proprio qui, nella più antica torre del castello.

Siamo attorno alla metà del XIV secolo, quando il castello subì una grave distruzione. Nel periodo appena successivo, venne cambiato quindi da fortezza a residenza, pur sempre mantenendo l’impostazione di antico maniero. Verso la fine del secolo, la famiglia Petroni prese il controllo del borgo di Cernusco Lombardone ed il castello divenne la loro residenza e centro dell’amministrazione del loro potere. Seguirono la famiglia Castelli, poi i Cernuschi. Il castello perse il suo ruolo strategico e si trasformò in dimora di campagna. Più tardi divenne proprietà della nobile famiglia dei conti Conti Lurani Cernuschi e, dopo un periodo di abbandono, venne acquistato dagli attuali proprietari.

Mi trovo davanti ad una costruzione ove si alternano tipiche forme massicce e ruvide, proprie di una fortezza, a dettagli ingentiliti che meglio si adattano ad una dimora dal tono nobile e rinascimentale.

Dal viale d’ingresso inizio ad intravedere alcuni scorci dell’antica dimora: un ponticello, i resti di una torre antica, in pietra, il fianco di un torrione minore, tozzo e tondeggiante. Inoltre noto una corte, che non poteva essere altro se non il cuore pulsante del castello, ma non pongo domande, attendo di ascoltare la mia guida.

Iniziamo spostandoci alla nostra sinistra, tratto in cui doveva sorgere la torre più antica, oggi simbolicamente ricostruita in forma ridotta, con merletti a coda di rondine.

L’intero complesso, doveva quindi avere almeno due torri di controllo; quella ad oggi rimasta si trova poco dopo il ponte, proprio vicina all’antico ingresso e perfettamente in dialogo con la torre di Montevecchia, proprio alle sue spalle, che un tempo padroneggiava la collina.

Siamo sempre più vicini a quel fiabesco ponticello di legno, sotto il quale si incrocia una strada che anticamente permetteva l’accesso al castello. Sul retro di quelle mura di fronte a noi, si nota ancora una rientranza volta a delineare le forme di un maestoso ingresso. Immagino qui, secoli addietro, una porta massiccia in legno rinforzato per resistere ai colpi di ariete, e forse una, due o tre cinte murarie concentriche, per proteggere ed accogliere la gente del villaggio circostante in caso di pericolo. E chissà, come ulteriore scudo, un profondo fossato, sfruttando il fiume Molgora che scorreva poco distante.

Attraversato il ponticello e giunti nella corte del castello, non posso fare a meno di osservare tutto ciò che mi circonda. Trattengo lo stupore per qualche istante. I colori intorno sono brillanti, solo qualche foglia dalle sfumature color mattone è posata sul tappeto d’erba attorno a noi, null’altro è “fuori posto”! Qualche timido rumore di sottofondo, insieme al leggerissimo vento che muove le foglie ormai secche, dialoga con me nei momenti di silenzio.

Ci troviamo ora abbracciati da un struttura che ci racchiude, quasi a ferro di cavallo: il primo corpo è costituito dai resti di quella torre in pietra, che già avevo notato da lontano, è ciò che resta del nucleo fortificato più antico, risalente la XI secolo, probabilmente il rifugio del signore. Il resto del complesso è di poco successivo ad essa, aggiunto o rimaneggiato nel XIV secolo, composto da spazi abitati dalla famiglia a cui erano stati infeudati i poteri sulle terre circonvicine, locali di servizio, scuderie, stalle ed un torrione, il rifugio armato dal quale contrastare gli attacchi nemici.

Nobili linee architettoniche impreziosiscono l’edificio, elegantissimi archi a sesto acuto definiscono gli spazi delle scuderie, i quali si susseguono e ripetono ritmicamente quasi fossero le forme di un antico acquedotto romano. Pare di sentire il nitrire dei cavalli, pronti per essere sellati e cavalcati.

Poco più avanti, questa volta alla nostra destra, si erge il corpo abitato, a conclusione del quale spicca una loggetta dalle forme gentili, probabilmente un’integrazione rinascimentale. Si compone di quattro piccole arcate a tutto sesto, dove il mattone si sposa con la pietra grezza e le sue forme, caratterizzate da pieni e vuoti che alleggeriscono il complesso conferendo un tono più raffinato e nobile. Questo loggiato mi suscita il ricordo di quelle pagine in cui una rima dopo l’altra gli uomini dell’epoca cantavano “l’amor cortese”. Ecco, è come se comparisse una donna angelica affacciarsi al balcone, guardando l’infinito dei verdi prati attorno al castello, torturata da un amore impossibile.

Il porticato sottostante ci parla invece di una storia ancor più antica: una colonna in granito ed un capitello con decori a basso rilievo si fanno testimoni di un tempietto di epoca romana.

Proseguendo, una breve galleria ci accompagna fuori dalla corte del castello. Mi accorgo che dinnanzi a noi si presenta quello che poteva essere un altro accesso, più interno e sicuro. Qui si erge il torrione trecentesco, tozzo e dalla pianta circolare. Una porta con inferriate, ci accompagna all’interno dell’abitato, verso un grande locale voltato a botte, una volta erano le stalle del castello. Ma la vera sorpresa è un’ulteriore apertura segreta al suo interno; un brevissimo corridoio che conduce in quel torrione per la difesa del maniero: “la cannoniera”. Si tratta di un locale dalla forma tondeggiante, che rispecchia esattamente le forme individuate all’esterno, un luogo davvero insolito, forse unico nella nostra Brianza! Nella sua parte più bassa, all’altezza di una seduta, vi sono alcune piccole aperture di forma quadrata disposte ritmicamente sul perimetro della torre: pertugi dove venivano posizionate le bocche dei cannoni, pronti a fare fuoco. Nella parte più alta della struttura si erge invece un palchetto in legno, raggiungibile mediante una scala angusta, dove cavalieri o guardie di un tempo si coricavano stanchi della giornata.

Il medioevo è davvero uno scrigno di emozioni: certamente paure e barbarie facevano la parte del leone, eppure l’atmosfera romantica di poeti e trovatori, che celebravano la bellezza angelica di nobili castellane, è ancora quella che questo luogo comunica. Incontri segreti tra dame, adornate da lunghi abiti e ampie maniche che ricadono sulle loro mani affusolate, e cavalieri giunti da lontano in sella a splendidi destrieri, dalla chioma lucente, ondeggiante al loro galoppare veloce come il vento compaiono come fantasmi su questo palcoscenico…

La mia visita sta per concludersi. Davanti a noi un nuovo scorcio del parco e poco distante una cascina contadina (completata da una moderna e irresistibile piscina!), segno di quell’epoca in cui il castello perse le sue nobili funzioni e divenne un piccolo borgo rurale.

Giunti qui, il padrone di casa mi racconta di quando, nel XVII secolo, il castello venne annesso alle proprietà della nobile famiglia Lurani Cernuschi: divenne luogo di abitazioni contadine, scuderie e campi coltivati, possedimenti formati da fertili colline dove coltivare preziose uve, posizionato proprio dirimpetto alla loro nobile dimora di campagna. A loro collegamento un lungo e suggestivo viale alberato.

Saluto e ringrazio il proprietario per la cortesia e la passione con cui mi ha coinvolta nella scoperta del suo castello, sottolineando la cura e l’attenzione con cui la sua famiglia si è dedicata nel riportare al primitivo splendore questo luogo misterioso.

Quando pensavo che la visita fosse ormai conclusa, inaspettatamente, un’ultima sorpresa: il padrone di casa mi accompagna verso un piccolo e segreto cancelletto che apre ad un collegamento tra il castello e….ma questa è tutta un’ altra storia…voglio tenervi in sospeso. Per ora.

Ma, appena sarà possibile, svelerò il mistero.

Laura Giussani

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