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Una porzione di Brianza alle porte del paesaggio collinare, distante da Milano quanto basta per poter essere avvolti dalla meraviglia delle campagne di quei secoli ormai a noi lontani, quella terra ideale per ospitare raffinate dimore di delizia: è proprio tutto ciò Arcore.

Le radici del nome Arcore sono ancora oggi messe in discussione. Alcuni lo collegano alle divinità classiche, al dio Ercole, luogo dove sorgeva probabilmente un tempio in suo onore; secondo altri si lega al termine “arco”, ricollegabile forse ad un arco di epoca romana. I documenti più antichi, fanno riferimento alle donazioni a chiese locali in cui vengono menzionati abitanti di Arcore detto “vico Arcole” o “loco Arculi”. Un paese noto sin dal Medioevo, appartenente alla pieve di Vimercate e ricordato specialmente per la presenza del monastero benedettino di San Martino e la casa delle Umiliate a Sant’Apollinare.
Ancora oggi il nome Arcore ci distoglie dal nostro vero obbiettivo, collegandoci immediatamente alla storica Villa San Martino, oppure alla centralissima Villa Borromeo D’Adda o ancora alla spettacolare Villa Ravizza. La destinazione che ci attende è un luogo ancora da scoprire. Si tratta di una dimora riservata, celata allo sguardo di chi percorre Viale Brianza, abbracciata da una lunga cinta muraria che pare preservare la sua intima e fascinosa bellezza.

Era una fredda ma gradevole soleggiata mattina di ottobre, quando la mia agenda ricordava che ci aspettava un incontro interessante, ad Arcore per l’appunto: ci attendevano i Conti Spalletti Trivelli alla loro splendida villa, detta “La Cazzola”.
Ho subito intuito che sarebbe stata una giornata particolare, una vera sorpresa. E così è stato. La grande proprietà si estende nel centro del comune di Arcore, nascosta, riservata, discreta ed elegante, avvolta da un suggestivo e ampio parco all’inglese, una di quelle dimore che stupiscono ad ogni passo per la cura con cui sono state tramandate e per come ancora oggi siano vive ed in qualche modo ci parlano, ci pettegolano delle vicissitudini del loro tempo.

Eccoci, siamo pronte! Entriamo in questa suggestiva dimensione: all’ingresso di Villa Spalletti Trivelli, un grande cancello si apre davanti a noi, e ci palesa la casa del custode con a lato una collina che degrada verso l’abitato poco distante delimitato da un viale alberato che sfoggia i più bei colori degli alberi vestiti d’ autunno, e quella lunga cinta in muratura che già avevamo percorso. L’autunno si fa sentire, l’aria punge ed i colori rendono ancora più suggestivo il grande parco all’inglese. Lo percorriamo velocemente, curiose di scorgere finalmente la villa. Eccola! E’ posta proprio su un altopiano collinare, affacciato sulla pianura del paese di Arcore.

La Contessa con calda gentilezza ci accoglie sulla soglia di un’elegante cancellata barocca, in ferro battuto, che delimita un piccolo ma raffinatissimo giardino all’italiana, costellato di muretti, siepi, colorato da begonie rosse ed arricchito da una fontana posta al centro.

Siamo quasi all’ingresso della villa. Il Conte ci raggiunge e dopo pochi minuti iniziamo un viaggio tra luoghi e secoli… tra spazio e tempo.

Ritorniamo nel tempo di cinque secoli indietro. La villa infatti è un raro esempio, in Brianza, di architettura di impianto cinquecentesco, nata come casino di caccia e villeggiatura, posta tra prati, boschi e suggestive atmosfere bucoliche. Il nome “Cazzola”, con cui è spesso ricordata, fa riferimento all’omonima nobile famiglia milanese, citata fin dal XIII secolo, che l’ha abitata. Davvero tanti nomi importanti aleggiano nei luoghi di questa abitazione, dalle famiglie che si sono succedute, ai grandi architetti e maestri che proprio qui hanno liberato la fantasia del loro ingegno. Alla famiglia Cazzola si accosta il nome del grande architetto di epoca borromaica, Pellegrino Pellegrini detto il Tibaldi.
Successivamente Giambattista II Durini, ricco mercante di seta e primo feudatario Conte di Monza, acquistò questa spettacolare dimora a metà Seicento e la convertì nell’attuale dimora barocca, quasi certamente su progetto dell’Arch. Gerolamo Quadrio. In particolare, alla precedente costruzione, venne inserito il portico che si trova davanti a noi, e si ripropone sulla fronte posteriore dell’edificio, determinando un asse prospettico centrale, aprendo l’edificio e generando una relazione perfetta tra lo spazio interno e quello esterno.
Diversi maestri sono intervenuti nel tempo per decorare gli interni creando un’atmosfera decisamente barocca.
Interverrà successivamente anche Carlo Amati, colui che completò la facciata del Duomo di Milano, aggiungendo al complesso un accento Neoclassico.
A fine Ottocento inoltre, la proprietà passò dai Durini, a Giambattista Vittadini per il quale lavorarono i fratelli Fausto e Bagatti Valsecchi, che aggiornarono la villa in stile barocchetto: trasformarono i rustici dell’abitazione e resero il giardino un parco all’inglese, conferendo al paesaggio che abbraccia la villa, proprio quella dimensione straordinaria che oggi possiamo ammirare.
Gli eredi Vittadini, vendettero la Cazzola a inizio Novecento ed i nuovi proprietari intendevano tramutarla in albergo. Ciò non avvenne mai.
Nel 1929 la villa, che purtroppo giaceva ormai in uno stato di abbandono, venne acquistata dalla contessa Erminia Gallarati Scotti Scheibler. L’abitazione ed il parco vennero perfettamente restaurati e portati alle attuali forme, che i discendenti ancora oggi curano con grande attenzione, rispetto, oserei dire con amore per il bello.

Dopo questa rapida escursione nei secoli, ci avviciniamo all’ingresso. Ci accolgono in un doppio loggiato sobrio, di modeste dimensioni, ma altamente scenografico, i padroni di casa che ci invitano ad entrare sottolineando come questa sia una soluzione architettonica antica, un raro esempio in area lombarda.

Ci troviamo, dopo pochi attimi, nella galleria. Siamo attratti sulla nostra sinistra da uno scalone elicoidale che conduce alle stanze da letto.

 

Davanti a noi, dipinti di grandi dimensioni, ritratti dal sapore secentesco, ci accolgono, si presentano, ci stupiscono insieme a stucchi barocchi, soffitti cassettonati, riccamente dipinti, evocatori di immagini fantasiose di tempi passati. Pareva di percepire il calpestio di eleganti calzature di ospiti illustri, ticchettare su quei marmi del pavimento a scacchiera bianca e ocra rossa, così come pareva che nobili donne, avvolte in preziosi abiti, elegantissime ed ingioiellate, comparissero su questa scena pronte ad incontrare i padroni di casa.

Entriamo ora lentamente nella saletta che si apre alla nostra destra, attratti dalla luce calda che curiosa, entra dalle grandi finestrature e fa brillare il parquet di un legno vagamente ambrato. Grandi armadi totalmente colmi di volumi antichi arredano la stanza: ci troviamo nell’elegantissima biblioteca privata. Pare di sentire il fruscio di quelle pagine che desiderano far fuggire le parole ansiose di raccontare il passato.

Proseguiamo spostandoci nel salotto principale, accogliente ed ancora ben arredato. Un prezioso   tappeto è solleticato da vezzose poltroncine finemente posizionate davanti ad un grande camino. La vera sorpresa è in realtà l’aprirsi di un “salottino nel salotto”, un’accogliente “nicchia” potremmo dire, uno spazio insolito, ma al contempo meraviglioso, un luogo direi romantico, un angolo decisamente Barocco, dai soffitti e dalle pareti interamente decorate. A completamento, una finestra genera un tale contatto con il giardino e la natura tanto da sembrare racchiusi e coccolati in un ospitale giardino d’inverno, ove poter sempre respirare l’atmosfera pura della natura. Direi un vero bijoux!

Fisicamente, in questo contesto di grandi e numerose aperture, si percepisce la spasmodica ricerca del rapporto fra l’ ambiente interno e quello esterno naturalistico, inteso come contemplazione , atta a stimolare la serenità interiore.

Procediamo passando nel raffinato salone di rappresentanza per giungere ad una piccola sala da pranzo, un altro gioiellino! Un’ampia finestra si apre davanti a noi e ci investe di una luce autunnale, che illumina l’arredo ligneo, perfettamente progettato per decorare ogni lato del locale, avvolgendo le pareti e riscaldando l’atmosfera anche nei giorni più freddi. Nel contesto si fa notare un originale passa-vivande con montacarichi che dalle cucine sotterranee faceva giungere le portate da servire in tavola.

Ora ci avviamo verso l’uscita dell’edificio. Attraversiamo una veranda arredata con comode sedute e giungiamo sul retro della villa in un altro piccolo, ma elegante giardino all’italiana senza fontana, ma sempre colorato da begonie rosse ed ornato da statue in pietra. Un cancello barocco racchiude il prezioso giardino e ci accompagna lungo un viale prospettico di querce americane, ricostruito ad inizio Novecento. Percorrendone un tratto, il Conte ci svela che con una piccola deviazione si giunge al roccolo di caccia per l’uccellagione. Incuriosite, lo seguiamo e ci troviamo avvolte dall’ intreccio di rami di altissimi alberi. Ritornando subito sul viale, il panorama che si presenta è inaspettato: sconfinati prati e boschi ci circondano, domina di nuovo l’arancione del foliage, infuocato dal sole di mezza mattina e zone di alberi sempreverdi si alternano, regalando alla vista macchie di bosco perenne. Passeggiando, giungiamo ad un luogo inaspettato, un laghetto naturale, formatosi grazie ad un fontanile di acqua sorgiva e circondato da curiosi Cipressi Calvi, alberi le cui radici crescono proprio sul bordo di corsi d’acqua.

Dopo esserci immersi in questa veduta aperta attorno a noi, radura e macchie boscose, torniamo verso la villa, questa volta alla scoperta della parte rustica. Al fianco ovest della dimora, si collega il complesso dei rustici, generando un cortile finemente pavimentato da ciottoli di marmo bianco e verde a motivi ornamentali, uno spazio rurale finemente nobilitato ed impreziosito.

Le sorprese non sono finite: come in ogni importante dimora che si rispetti, scopriamo la cappella privata, più precisamente un oratorio di fine Ottocento, caratterizzato da originali decorazioni in stile barocchetto su progetto dei fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi.

Chi l’avrebbe mai detto che avremmo avuto il privilegio di vivere una normale giornata d’autunno scoprendo un vero gioiello del Barocco lombardo, celato nel cuore pulsante di Arcore? Grazie dunque ai padroni di casa, i discendenti della contessa Erminia Gallarati Scotti Scheibler, che consapevoli dell’importante eredità storica, custodiscono ancora oggi un patrimonio di arte, storia e tradizione tramandato per secoli. Come un grande tesoro!

Appuntate anche Voi in agenda il nome di questa villa, e tenetevi pronti a conoscerla. Peccato perderla!

Laura Giussani

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