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Il dilemma dell’irresistibile desiderio di brindare un po’ per tutto…

 

Quando si organizza una cena o si partecipa ad un banchetto organizzato, nasce sempre il “dilemma del Brindisi”: è possibile brindare alla salute dei commensali, o a qualche buon proposito, senza sembrare privo di buone creanze? O è meglio evitare per non disturbare l’eleganza della tavola? E se ammesso, come brindare in maniera appropriata alle circostanze? Ebbene, è davvero difficile dare una risposta univoca a queste domande, perché nel corso della storia il brindisi ha avuto fasi molto alterne e, di conseguenza, anche le buone maniere circa il tema hanno subito degli alti e bassi non indifferenti. Da atto essenziale il brindisi è divenuto quasi un gesto proibito, per poi ritornare in auge e, subito dopo, cadere miseramente ed essere archiviato come qualcosa da evitare o da praticare “quasi in sordina”. Nemmeno la logica ci aiuta a dare una risposta concreta al dilemma, perché, se da una parte, un banchetto festoso senza brindisi rischia di non essere tale, dall’altra, una cena elegante con fastidiosi tintinnii di richiamo e urla scomposte, potrebbe non soddisfare proprio l’aggettivo usato. Ma siccome per comprendere il presente è necessario conoscere la storia, cerchiamo di valutare l’evoluzione del brindisi, per poi scegliere cosa è meglio fare ai nostri giorni…

Per prima cosa, è importante comprendere l’origine del gesto e del consequenziale termine utilizzato. L’etimologia della parola “brindisi” deriverebbe dall’antico tedesco BRING DIR’S, che significava “Lo porto a te”, riferendosi ad un saluto o ad un corno di birra, ovvero “bevo alla tua salute”. Questo termine deriverebbe dalla pratica tipica degli antichi paesi nordici di invocare gli Dei (Thor, Odine, Freya….), alzare il corno di birra e passarlo agli amici/commensali, quasi come gesto apotropaico o augurale. Con il passare del tempo, anche più a sud, nell’antica Grecia, il brindisi diviene un meraviglioso gesto di buon augurio, ovviamente da accompagnare sempre a invocazioni o “frasi fatte”, anch’esso di valore trascendentale: il simposiarca (Il re del banchetto), infatti, oltre a mescere vino ai commensali, era solito versare qualche goccia in tavola in onore degli Dei.  Dalla Grecia poi il brindisi passò a Roma, dove i patrizi definivano questo gesto “bibere graeco more” o utilizzavano il termine “Propinatio”: brindare era un modo di onorare le persone, persino le donne! Con l’avvento del cristianesimo, invece, le dediche agli Dei conseguenti il brindisi vennero soppiantate dagli onori ai Santi e ai Martiri, ma ebbero vita davvero breve. La Chiesa si scagliò contro il brindisi e contro tutte le forme di ostentazione, ingordigia e goliardia che nobilitassero il corpo e facessero perdere la concentrazione sul vero obbiettivo trascendente. Di conseguenza, pare proprio che questo gesto sia caduto in disuso per molto tempo.

Solo nel ‘500 ritornò in auge in Italia, spesso collegandolo con piccoli componimenti poetici. Però, se il brindisi veniva apprezzato a livello popolare, ai nobili e ai cortigiani veniva vivamente sconsigliato. Dopo la Chiesa, il primo grande detrattore fu proprio Mons. Della Casa che nel suo Galateo sosteneva: “Lo invitare a bere (la qual usanza, siccome non nostra, noi nominiamo con vocabolo forestiero, cioè far brindisi) è verso di sé biasimevole, e nelle nostre contrade non è ancor venuto in uso, sicché egli non si dee fare”. Anche il Pascali sentenziava che prendere il bicchiere in mano e invitare a bere dopo aver raccontato qualche novella o proferito le solite parole augurali, era usanza più da rustico tedesco che da costumato italiano. Col passare del tempo, infatti, i nobili iniziarono ad apprezzare il silenzio, il garbo, il tono di voce pacato, probabilmente anche come elementi distintivi rispetto ai popolani; nasce così l’uso aristocratico di mangiare in silenzio, proprio come i monaci, e si sviluppa anche una particolare attenzione alla riservatezza e al rispetto dei commensali, che non dovevano essere disturbati. Anche Luigi XIV in Francia arrivò a vietare il brindisi, autorizzando solo quelli in occasione dell’Epifania. Nonostante tutti questi avversari, tra i nobili vi era anche qualche sostenitore, che, rifacendosi alla tradizione greco-romana, lo considerava un gesto tutt’altro che bifolco e campagnolo. A metà dell’Ottocento, tra i proverbi raccolti da Bernoni, si trova anche “il mangiare è da facchino e il bere da gentiluomo”, e ovviamente il brindisi apparteneva alla seconda categoria, però non sono comunque molti i sostenitori.

Oggi, seppur adeguate ai tempi moderni, le buone maniere a tavola sembrano raccogliere gli insegnamenti del passato, soprattutto quelli del Galateo di mons. Della Casa e di tutti coloro che si ispirarono alla sua opera. E Proprio come un tempo – forse oggi in maniera ancora più accentuata – la prima regola da osservare a tavola è il rispetto dell’ordine e della quiete. Parlare a voce troppo alta, richiamare l’attenzione con il tintinnio della forchetta sul bicchiere, urlare frasi augurali sollevando i calici, fare “cin cin” con i bicchieri, sono gesti che creano disturbo e fastidio, quindi sono banditi! Di conseguenza, il classico brindisi, che pare proprio essere costituito da tutti quegli elementi di disturbo, non può essere consentito tra le buone maniere, almeno nella forma più comune. Inoltre, l’ospite va rispettato e “coccolato”, e quindi è severamente vietato disturbare i commensali, obbligandoli a bere contro la loro volontà o il loro desiderio. In passato si diceva che nemmeno le bestie bevevano per forza, criticando così in maniera indiretta Il brindisi di metà pasto, improvvisato durante il banchetto, che costringeva i commensali ad alzare e bere il calice di vino, anche controvoglia.

Ma allora com’è possibile festeggiare una ricorrenza o una persona importante? Come si può augurare buoni propositi a qualcuno e invitare tutti i commensali a fare altrettanto? Una semplice parola non basta, un discorso senza il seguito di una bevuta in compagnia sembra proprio monco ed incompleto, soprattutto se il brindisi fa parte ormai della nostra tradizione popolare. La completa astinenza potrebbe comportare un effetto poco elegante e un riscontro degli ospiti tutt’altro che positivo.

Come sempre c’è una soluzione e le buone maniere moderne, correttamente contestualizzate, sono proprio in grado di trovarla:

  1. Il brindisi, se proprio necessario, deve essere fatto solo ed esclusivamente all’inizio o alla fine del banchetto. Evitate di “torturare i commensali” con tintinnii di bicchieri, urla o discorsi confusi durante il pasto;
  2. Evitate di richiamare l’attenzione dei commensali con tintinnii di posate sui bicchieri o rumori molesti di qualsivoglia fonte, siate sempre garbati e rispettosi della quiete altrui;
  3. Evitate discorsi lunghi, contorti o vere e proprie “staffette” del discorso, considerate sempre che l’attenzione cala dopo pochi minuti ad una conferenza interessante, immaginatevi in un banchetto dove gli ospiti sono lì riuniti per tutt’altro;
  4. Evitate gesti plateali e spettacolari, la sobrietà ripaga sempre;
  5. Non incrociate i bicchieri e soprattutto non sbatteteli l’uno contro l’altro, per fare il famoso “cin cin”, non ha alcun senso, crea solo un fastidioso imbarazzo, sia per chi lo deve fare – che si deve gettare sul tavolo per arrivare ovunque – sia per chi è costretto ad assisterlo.
  6. Alzatevi in piedi, tenete il vostro calice per lo stelo, guardate negli occhi i vostri commensali o la persona a cui destinare il brindisi e alzate leggermente il vostro bicchiere verso, come se foste in procinto di porgerglielo…del resto “brindisi” vuol dire “lo porto a te”…ricordate?

Giovanni Vanossi

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