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L’autunno sta per volgere verso la stagione più fredda. Dalle nostre finestre vediamo le ultime foglie cadere dagli alberi, ma scegliamo di non rinunciare a una passeggiata. Non ci è possibile indossare il cappotto e chiuderci la porta alle spalle ma, traguardando dai vetri del nostro appartamento, proviamo ad immergerci in un viaggio alla scoperta di Oggiono. Iniziamo a vedere in lontananza la località: ci troviamo nel bel mezzo della Brianza lecchese, più vicini al confine con l’area comasca, in un territorio dominato da piccoli laghi, circondato dall’arco prealpino e da fertili campagne. I nostri occhi già brillano. L’etimologia del nome, da Augionus, ovvero un luogo ricco d’acqua, non trae in inganno: comprendiamo come questo elemento sia stato alla base dello sviluppo territoriale, dapprima in ambito agricolo e, nei secoli successivi, nell’attività industriale legata alla lavorazione della seta. Oggi, qui, è un fiorire di industrie meccaniche, ma non mancano piccoli gioielli di artigianalità che ne esportano il nome anche all’estero nell’ambito gastronomico (il prosciutto celebra il più illustre cittadino, Marco da Oggiono) o nella lavorazione dei tessuti per l’alta moda. In questo veloce passaggio tra i secoli, possiamo riassumere il ruolo che Oggiono ha avuto come città delle arti e dei mestieri. Questo sapere fare, una costante che comincia dal Medioevo e giunge al moderno mecenatismo, si è esplicitato in molteplici ambiti che oggi ci permettono di pensare a percorsi tematici su tracce archeologiche, religiose, architettoniche e dimore signorili.

Cominciamo quindi la nostra camminata dal nucleo storico. Ci troviamo sul sagrato della chiesa prepositurale, dedicata a Santa Eufemia e osserviamo, poco più in basso, la colonna a lei dedicata: in origine aveva l’aureola del martirio, a ricordare i morti della peste, ma le influenze liberali della Rivoluzione francese, che arrivano sin qui, la trasformano nella semplice cittadina Eufemia.

Il nostro sguardo viene subito attratto da una sobria costruzione in pietra arenaria, molto diffusa a livello locale (se ne trova traccia anche su altri edifici del centro per via delle cave qui presenti fino al secolo scorso) e cupola in tufo. Si trova proprio accanto all’edificio di culto che, con la sua maestosità, sembra quasi volerla oscurare, senza tuttavia riuscirci: è facile intuire come quest’opera abbia attraversato i secoli. Tanti secoli. Davanti a noi abbiamo infatti il Battistero, opera dei lapidici, risalente all’XI secolo. In stile romanico e dalla pianta ottagonale irregolare all’esterno, è una tra le più preziose testimonianze in ambito architettonico dell’intero territorio: notiamo i raffinati archetti ciechi che, insieme alle sottili lesene, interrompono la superficie liscia della pietra. La nostra curiosità ci spinge all’interno e, dalla piccola porta, intuiamo il primo contrasto: la pianta è circolare. Oltre agli affreschi, ci soffermiamo sulla vasca ad immersione degli antichi Battesimi, testimonianza ancora viva dell’importanza di questo territorio che, quando era una Pieve, poteva contare sulla presenza di 17 chiese con 20 altari dipendenti dalla matrice di Oggiono. É un luogo che ci riempie di meraviglia se pensiamo al suo significato storico e, soprattutto, al fatto che avremmo potuto perderlo. Fu grazie a don Carlo Gottifredi che nel 1932 presero avvio i lavori di restauro dell’antico monumento che riportarono alla luce l’antico fonte, dopo che nel 1791 venne trasformato in sagrestia. Tale scelta suscitò la dura reazione del cardinale Giuseppe Pozzobonelli (arcivescovo di Milano dal 1743 al 1783) che, nella sua visita, “ebbe a muovere un forte rimprovero agli oggionesi tanto più per avere distrutto uno dei nostri migliori monumenti d’antichità”.

Ci fa ora obbligo proseguire il percorso verso la chiesa che, secondo la testimonianza di don Giuseppe Beneggi, esisteva già nel 1288. Non troviamo però tracce romaniche all’interno (quella che vediamo oggi è stata realizzata nel 1614 su impianto del 1455) e, senza attardarci, ci soffermiamo nei due punti artisticamente più rilevanti. A metà della navata centrale, dirimpetto all’organo, ci imbattiamo nell’Assunta in cielo, opera di Marco d’Oggiono, allievo di Leonardo alla corte del Moro a Milano. Oggi possiamo apprezzare, nella loro interezza, le dieci tavole dipinte a olio raffiguranti l’Assunta insieme a una serie di santi, ma dobbiamo tenere presente che le vicissitudini dei secoli avevano portato a uno smembramento del Polittico. La cornice originale purtroppo è quindi andata perduta: la pala che oggi vediamo è stata commissionata dalla famiglia Riva-Finoli alla fine del 1800.
Portandoci verso l’uscita, ci fermiamo dinanzi alla prima cappella di sinistra, che ci riserva un altro piccolo gioiello. Avviciniamoci meglio per osservare l’eleganza di questo Sposalizio della Beata Vergine e di San Giuseppe, opera murale di Andrea Appiani, primo pittore del Re d’Italia e di Napoleone. Una patina di nerofumo ne oscurava la bellezza: dopo il restauro del 2017, possiamo ammirare questa pittura dall’iconografia alquanto insolita.
Appena torniamo sul sagrato, ci lasciamo incuriosire dalla scalinata che sale verso l’alto. È un bel viale fiancheggiato da aceri con un tappeto di foglie che, in questa stagione, quasi nasconde la nuda pietra con i suoi colori ramati.

La vera sorpresa ci attende dall’ultimo gradino: superata la piazzetta, dalla balaustra si apre uno spettacolo che non ha bisogno di tante parole e con la differenza che, rispetto al nostro percorso, non è disegnato dalla mano dell’uomo. Vediamo il lago di Annone, circondato da un anello di monti tra cui spiccano, le irregolari creste rese celebri da Alessandro Manzoni e le Grigne, altro simbolo della città di Lecco, che ha ne ha esportato il nome all’estero, richiamando alpinisti da ogni parte del globo. Da questo punto prende avvio una passeggiata che ci conduce ai piedi della collina, fino al bacino lacustre di cui ci parla anche il giovane Stendhal, dopo il suo breve soggiorno in questi territori. Ci lasciamo distrarre volentieri dall’incanto della natura ma, seppur a malincuore, dopo qualche minuto torniamo alla nostra passeggiata alla scoperta delle bellezze di Oggiono, lasciandoci alle spalle l’area religiosa.

Imbocchiamo la strada a destra e, dopo pochi metri, non ci facciamo ingannare dalla mal conservata abitazione in cui ci imbattiamo: è la più antica casa di Oggiono, risalente al 1400 e, con un buono sforzo, proviamo ad immaginarla con dipinti e ornamenti sulle pareti esterne. Ancora pochi passi e giungiamo nell’attuale piazza Sant’Onorina: nel ‘400 era piazza delle adunanze. Qui, infatti, si rogavano gli atti “ad sanctam Agatham”, la santa a cui è dedicata la piccola chiesa sussidiaria che, in passato, era una porta del paese e delimitava la zona dei signori. Le due fornelle collocate sulla facciata, ci richiamano il periodo longobardo a testimonianza, ancora una volta, di come la città fosse un centro di interesse. Intanto, torniamo al nostro sapere fare: proprio in questo luogo, attraverso i secoli, si è tramandata una lunga tradizione notarile, viva ancora oggigiorno. Sul lato opposto alla chiesa, possiamo ammirare il palazzo settecentesco, dimora di una famiglia che da cinque generazioni porta avanti il “mestiere della legge”. La residenza ha un ampio giardino alle spalle con scorcio sul lago. Dietro i pilastri d’ingresso, si nasconde l’ampia scalinata d’ingresso.
Proseguiamo il nostro cammino allontanandoci da quello che in origine era il nucleo più antico della città per arrivare in fondo alla via, là dove anticamente sorgeva il castello, dimora signorile. Alle spalle della cancellata in ferro battuto, oggi si apre un parco naturalistico ricco di essenze pregiate (fagus selvatico asplenifolia, ginkgo biloba), distribuito su una piccola collina sulla cui sommità troviamo Villa Sironi.

Insieme ai nostri passi, sono avanzati anche i secoli. Siamo agli inizi del Novecento e qui troviamo traccia di una dimora borghese, costruita in stile eclettico (liberty-coppedé) e realizzata nella pietra arenaria coltivata localmente. Fu dimora di Guido Sironi, benefattore della comunità che, professionalmente impegnato a Milano, usciva nella verdeggiante Brianza per far riposare lo spirito. Si innamorò del “castellazzo” che qui anticamente sorgeva e decise di costruirvi la “baita” (1911), residenza in cui abiterà con la sorella Lavinia. Guido Sironi morì il 14 marzo 1935 e scelse di riposare nel mausoleo di famiglia presso il cimitero di Oggiono, chiedendo che sui lati venissero riportate le massime di quattro autori latini: “il lavoro costante vince ogni cosa” (Virgilio), “fondamento di ogni virtù è l’affetto verso i genitori” (Cicerone), “vivi ricordando che devi morire” (Persio), “quello che non vuoi sia fatto a te, non lo fare agli altri” (Lampridio). Ci stiamo soffermando sul significato di questi motti quando la nostra mente si ridesta: fuori, stanno cadendo altre foglie. La prossima passeggiata, che sarà ricca di tante altre curiosità, la faremo dal vivo.

Michela Mauri

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