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Risulta difficile pensare di trovarci davanti allingresso di una villa. La zona è isolata, raggiungibile tramite una strada che, poco dopo laccesso della residenza, diventa sterrata. Tutto intorno a noi, ci sono campi di grano e boschi. Questoggi, nel nostro viaggio alla scoperta dei percorsi che ci fanno conoscere angoli nascosti e luoghi impensati non troppo lontano da casa, siamo giunti a Bosisio Parini. Unaltra tappa nella Brianza lecchese, dunque. La località è nota in primo luogo per aver dato i natali a Giuseppe Parini, di cui si può visitare la casa natia, situata nel centro storico del paese, allinterno di una vecchia corte, raggiungibile deviando dalla via che prende proprio il nome del poeta settecentesco.

Oltre al gioiello architettonico della chiesa di SantAmbrogio, a villa Banfi-Cantù e a villa Arnaboldi, c’è un altro particolare simbolo di questa terra: il lago di Pusiano, uno dei piccoli bacini lacustri di origine morenica che abbiamo conosciuto in una precedente puntata dedicata a Oggiono. I riflessi del lago regalano tramonti che ogni giorno incantano, indipendentemente dal punto in cui si ammirano: da una parte, un orizzonte che si fa raro seguendo il profilo di un’altura che si fa pianura, dall’altra una sottile linea che segna la conformazione orografica dell’arco prealpino.

Se pensiamo di dipingere Bosisio su una tela, utilizzeremmo due colori: il blu dell’acqua e il verde della campagna. Ancora oggi, il comune si caratterizza per un’urbanizzazione che investe circa un quarto della superficie e lascia invece spazio al territorio naturale, fatto di prati e boschi, in gran parte sotto tutela, come nel caso dell’area in cui ci troviamo. Per il nostro itinerario, infatti, abbiamo abbandonato il tradizionale percorso all’interno del centro abitato e siamo giunti in unarea periferica. Ci troviamo poco lontani dalla Superstrada 36 e dalla zona industriale del paese eppure, qui, dove forse non ci saremmo mai addentrati senza consiglio, si nasconde una proprietà alquanto insolita, dove val la pena sostare per qualche ora. Ci troviamo nella zona del Bordone che, un secolo fa, era una superficie verde: guardandoci attorno vediamo ancora alcuni campi, retaggio di questo passato agricolo. Pensiamo infatti che tutta questa zona già dal Settecento apparteneva alla famiglia Melzi, che qui possedeva alcuni latifondi, parte dei quali, compresa la cascina, verranno inglobati nella proprietà. Siamo a Villa La Rocchetta-Bordone: alla cancellata in ferro battuto, massiccia ma con una lavorazione curata dall’artista Alessandro Mazzucotelli che lascerà il segno in più punti anche nella residenza, ci accoglie un tappeto di sassi con colori a contrasto: in nero troviamo inciso proprio il nome Bordone, da cui appunto il nome assegnato alla residenza.

Questarea così isolata e nascosta a occhi indiscreti, intorno al 1920, affascinò Giovanni Gussoni che, figlio di un industriale cotoniero del Regno d’Italia, decise di far realizzare qui la propria residenza di caccia. Dovremo quindi cambiare il nostro sguardo per poter meglio apprezzare questa proprietà. La concezione della dimora, affidata allarchitetto Aldo Andreani, è infatti quella di un ambiente riservato a un interesse specifico di cui ne coglieremo insieme l’essenza.

Dal breve viale d’accesso in salita, prendiamo il sentiero che si snoda sulla collina, alla cui sommità troviamo due roccoli da caccia con vista sul paesaggio circostante. Lungo questaltura, realizzata con terra di riporto, si innesta un percorso di gabbie e voliere dove venivano lasciati, come in vetrina per gli amici, gli animali da collezione”. Siamo immersi in questa zona selvaggia e immaginiamo di sentire le voci di uccelli e belve selvatiche che fanno percepire, con insistenza, la loro presenza al nostro passaggio. In sottofondo, udiamo il sibilare del vento che scuote le fronde degli alberi, mentre i nostri passi restano impressi nella nuda terra che stiamo calpestando. Il bosco di conifere si fa più rado tanto che si dischiude una vista inaspettata: un ampio parco verdeggiante sul cui sfondo, in lontananza, intravediamo Villa La Rocchetta che, da questo punto, appare piccola e chiusa in se stessa. Le nuvole oggi sono cupe e l’aspetto, nel complesso, è quasi sinistro, tetro. Non riusciamo tuttavia a resistere al grande fascino che, nella sua peculiarità, emana questa villa. In breve tempo raggiungiamo la spianata e arriviamo davanti alla facciata: abbiamo attraversato il viale frontale allingresso, un vero e proprio canale prospettico che taglia in due lampio parco e ci permette di penetrare la villa con lo sguardo.

La prospettiva è nel frattempo cambiata: la residenza ci appare ora nelle reali dimensioni e ci accorgiamo di essere noi piccoli in rapporto all’edificio, che si mostra in tutta la sua imponenza. A voler essere fantasiosi, ci può sembrare di aver di fronte una scena teatrale con le quinte: la forma, tecnicamente definita a farfalla, è semi curva. Le ali laterali paiono voler raccogliere la struttura, facendo concentrare la nostra attenzione alla parte centrale.

A uno sguardo più attento, però, notiamo la somiglianza con una costruzione fortificata: la villa poggia su un terrapieno, che appare come il baluardo, interrotto soltanto al centro, dove si innesta lampia scalinata di accesso, unico punto di collegamento con il parco circostante. A ornamento c’è una bellissima loggia trifora, realizzata in tre differenti materiali che rispondono pienamente allo stile eclettico con cui è realizzata la villa: le colonne tortili in marmo rosso sono sovrastate da archi in mattoni e da una passerella lignea. La villa, pur in cemento armato, è rivestita di pietre e coperta da un tetto spiovente.

Attraversando l’atrio, ci portiamo sul lato opposto del piano, nellaltra ala di farfalla dove ci sono gli ambienti dedicati ai pasti: troviamo subito una grande sala da pranzo con credenze parzialmente inserite a muro mentre, oltrepassando la porta, c’è laccesso allattuale cucina che, in origine, si trovava al piano inferiore dell’edificio. Le piastrelle sui toni del bianco e blu sono invece originali. Un’altra porta ci riconduce all’atrio: prendiamo la scala e, passando dalla pregevole vetrata convessa – spezzata da vistose linee metalliche che formano piccoli riquadri – arriviamo al piano superiore che ospita le camere da letto. Ce ne sono una dozzina in totale, tutte con un arredo curato su misura e con vetrate che aprono la vista su differenti punti della proprietà. Tutte queste stanze sono dotate di uno spazio attiguo che è di volta in volta diverso: dal bagno al guardaroba fino allo studiolo che appare quasi sospeso e proteso verso l’orizzonte della campagna di Bosisio.

Su questo stesso piano, troviamo un’altra scala, piccola e stretta. Mettendo il naso all’insù, non riusciamo a capire dove ci conduce e così la percorriamo interamente, fino a quando la nostra bocca si spalanca in un’espressione di stupore. Non ci saremmo mai aspettati questo angolo nascosto nel casino di caccia: è la stanza del gioco che, pur avendo dimensioni piuttosto contenute, è di grande effetto. Un tavolo da biliardo domina l’intero spazio, mentre due ampie finestre creano molta luminosità all’ambiente.

La grossa lampada, bassa e con le decorazioni di Mazzucotelli, illumina il tappeto verde. Sentiamo il rumore delle palle da biliardo che scivolano sul piano colpite dal bastone, la pioggia che batte contro i vetri e il chiacchiericcio degli ospiti che, immersi nella penombra, sono rimasti sul divano a semicerchio. I toni della stanza sono rosa e verde pastello, ripresi nelle tende e nella fodera di tutti i complementi d’arredo, mentre le pareti sono bianche, come in tutta la casa. Una nuvola di fumo si alza dal tavolo da gioco, mentre l’odore del tabacco pervade le nostre narici. Ci resta ancora poco tempo, prima che faccia buio: lasciamo la compagnia e, tornando nel nostro atrio, vero e proprio perno attorno al quale ruota la vita della casa, usciamo dalla porta sul retro. Riparati dall’ombrello, alziamo lo sguardo e notiamo l’impiego di diversi materiali, la asimmetria degli elementi che fanno somigliare la villa ancor di più a un castello, con una torretta che si protende verso l’alto.

Raggiungiamo il viale laterale: buttiamo un ultimo sguardo di sbieco all’edificio e osserviamo davanti a noi l’ampio parco della proprietà che prosegue anche alle nostre spalle. Da questo punto di vista sembra quasi avvolgere in un ideale abbraccio e custodire, con i suoi otto ettari di estensione, la villa. La nostra camminata prosegue fino alla cancellata dove il nostro percorso era incominciato. Chiudendolo con qualche sforzo alle nostre spalle, torniamo nella realtà.

Michela Mauri

 

 

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