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Nella splendida Brianza comasca – orgogliosamente denominata “alta” per distinguersi dalla “bassa” molto più cittadina – vi segnalo il piccolo comune di Anzano del Parco, particolarmente caratterizzato da una maestosa villa e da un affascinante borgo storico che si è sviluppato attorno alla stessa. Questo piccolo paese sorge su una delle tante colline moreniche briantee, quelle stesse da cui deriva l’etimologia del termine “Brianza” (brig=alture in celtico), e si affaccia sul lago di Alserio, uno dei tanti specchi d’acqua di questo territorio, soprannominato anche “regione dei laghetti minori” (in riferimento al vicino lago di Como). Ma la curiosità più interessante sta nel nome dello stesso comune: il termine “Del Parco” si riferisce all’immensa tenuta verde che circonda “Villa Carcano”, da sempre proprietà dell’omonima famiglia. Questa proprietà  infatti è tuttora gigantesca, e in passato probabilmente aveva un parco ancora più ampio, a tal punto da caratterizzare persino il toponimo del comune in cui si trovava (e si trova tuttora).

Da queste parti Villa Carcano è una vera e propria istituzione e, come tale, non poteva che trovarsi in centro paese, alla fine di un rettilineo viale alberato – tipico dei luoghi davvero importanti. Ma soprattutto questa immensa tenuta, da secoli utilizzata sia come “azienda agricola” che come “villa di delizia”, ha contribuito al sostentamento economico degli anzanesi e allo sviluppo sociale del territorio. Ma vediamo di scoprirne i segreti e i suoi angoli più suggestivi!

Percorso il lungo viale alberato, oggi trasformato in una classica strada comunale, giungo davanti al cancello della villa, e subito mi rendo conto della sua importanza. Il cancello è costituito da grandi lance in ferro battuto e accanto si trova la portineria, ovvero una bella casetta immersa nel verde e a guardia dell’ingresso. Della villa padronale invece nemmeno l’ombra. Cerco di allungare la vista, oltre le fronde degli alberi, ma si vede solo un grande caseggiato longitudinale rispetto all’ingresso, caratterizzato da tante finestre ma da nessuna porta, con una facciata sul parco e l’altra sul borgo del paese: facile intuire che si tratta dei rustici, ovvero delle case degli anzanesi che lavorarono per la villa e la famiglia Carcano.

Ad aprirmi il cancello mi viene incontro il signor Giorgio Bosetti Carcano, attuale proprietario della tenuta ed erede della famiglia dei marchesi Carcano, che da generazioni conservano intatta questa speciale realtà. Il signor Bosetti è un uomo davvero distinto, qualcuno direbbe che si vede lontano un miglio che è un signore: è alto, ben vestito, raffinato e gentile nei modi – qualità oggi un po’ perduta. Estrae dalla tasca il suo smart phone e improvvisamente apre il pesante cancello, è bellissimo vedere come la tecnologia ben si sposi anche con un “ferro antico”. Insieme percorriamo un tortuoso vialetto in terra battuta, una sorta di tunnel vegetale con arbusti e alberi d’alto fusto, e, alla fine del sentiero, ci si apre di fronte uno spiazzo circolare con al centro un’antichissima fontana, sullo sfondo la meravigliosa villa padronale e ai lati i famosi rustici che giungono fino al fianco della casa dei signori. E’ uno spettacolo! Il tempo pare essersi fermato per sempre.

La facciata della villa è particolarissima, è un puro neoclassico, sembra quasi l’ingresso di un tempio greco, con tanto di timpano, metope, triglifi e colonne. Certo tutto è solo accennato, però è perfettamente in linea con la moda di fine Settecento – inizio Ottocento, ovvero del periodo in cui venne realizzata su progetto di Leopoldo Pollack. La fontanella invece, rappresenta l’unica struttura superstite della casa da nobile preesistente la villa attuale, e secondo il proprietario risalirebbe addirittura al XVI secolo, periodo in cui i Carcano iniziarono qui a gestire l’attività agricola e le rendite terriere. Guardando gli edifici, tutti penserebbero che la villa sia l’opera più prestigiosa della tenuta, invece no, sul lato destro della magione ci sono due strutture davvero sorprendenti: il grande granaio e le raffinate scuderie. Il primo è molto ampio, con una pavimentazione in piccoli ciottoli di fiume, una grandissima colonna centrale – penso di non averne mai visto una più grande – e un suggestivo portone in legno dal quale si accede alla piazzetta del borgo storico: del resto i carretti agricoli non potevano certo fare lo stesso tragitto delle carrozze! La scuderia invece è ancora più affascinante. Pensate che gli interni della villa, anch’essi neoclassici, non hanno nessun affresco o particolare decorazione, mentre la “casa dei cavalli” è completamente affrescata ( e in parte lo è tuttora). Lo storico marchese Carcano, dopo aver visto in Francia una scuderia dipinta, decise di riproporla nella sua villa, creando delle fantastiche boscarecce sulle volte a botte. Il risultato è molto interessante e curioso (si veda la stampa dell’epoca sottostante). Del resto, nella seconda metà dell’Ottocento era di moda essere bizzarri e alternativi: pensate che , tra le tante particolarità, il marchese andava a trovare ad Inverigo la famiglia Perego con un calesse trainato non da cavalli ma da struzzi!

Sempre guidato dal sig. Bosetti, faccio il giro della casa e sul lato destro noto la “particolarità architettonica” dell’arch. Pollack, il progettista della villa: all’interno è stata realizzata una sala della musica ellittica, ma la metà della stessa esce rispetto al perimetro della struttura, creando un piccolo sfondamento a semicerchio nella facciata laterale. Questa particolarità, vista anche come una sorta di “firma dell’artista”, la ritroviamo anche in altre ville dell’architetto austriaco, quale ad esempio villa Saporiti di Como, l’attuale sede dell’amministrazione provinciale, di cui villa Carcano sembra essere la sorella gemella. Ma è nella parte opposta rispetto all’ingresso che è possibile assistere a un vero e proprio spettacolo: la meravigliosa veduta paesaggistica dall’antico Belvedere della dimora. Questo spazio è davvero eccezionale, da qui si vede una parte dell’alta Brianza e, a dispetto della massiccia urbanizzazione briantea, il paesaggio circostante sembra proprio lo stesso di qualche secolo fa. Si vedono le collinette briantee, il Resegone, il castello di Monguzzo, le antiche cascine e, in fondo a sinistra, una parte della città di Erba; ma soprattutto, questo piccolo “balcone verde” si affaccia sul maestoso parco della villa e mi regala un meraviglioso anticipo dei vialetti romantici che mi aspettano.

A questo punto, il proprietario mi illustra due percorsi alternativi nella tenuta, quello “lungo” – per “seri” camminatori – e quello “breve” – per chi desidera visitare il parco…senza troppi sforzi. Io ovviamente scelgo il primo e parto lungo il vialetto storico per una splendida passeggiata d’altri tempi. Subito all’inizio del percorso, sulla destra, scopro l’ingresso di un piccolo tunnel, che porta alle storiche cantine della villa: importantissime per una realtà che da sempre è stata anche un’azienda agricola ed aveva, come molte ville della Brianza, una propria etichetta di vini. Proseguo verso la “riva delle ortensie”, meravigliosa e coloratissima, sono tantissime piante e di diversa varietà; poi continuo il vialetto e, dopo una curva a gomito, mi appare una realtà completamente diversa, un boschetto di magnolie e tassi. Come in tutti i parchi ottocenteschi “all’inglese”, anche a villa Carcano, occorreva stupire gli ospiti e, dietro all’apparenza di naturalezza dell’organizzazione del verde, in realtà bisognava sorprendere, soprattutto con piante esotiche e stravaganti. E’ un continuo susseguirsi di zone molto soleggiate e luoghi ombrosi, di luce e di ombre, verità e misteri, fino a un lungo viale vegetale fittissimo, un vero e proprio bosco di palme e di conifere. Qui si sente il profumo del sottobosco, c’è una differente umidità, ma anche qualcosa di suggestivo nelle sue forme e nei suoi colori. Alla fine del palmeto, ecco che inizia una carpanata, “passeggiata degli innamorati” – come era di moda nell’Ottocento – dove i carpani si abbracciano in alto, a tal punto da creare un tunnel con volta a sesto acuto. Questo percorso porta al bellissimo laghetto romantico, storicamente “polifunzionale”, perché, se da una parte, ha sempre rappresentato una vera e propria “fucina del ghiaccio”, venduto poi a Milano, dall’altra, è stato ed è un luogo di delizia, adatto alla contemplazione romantica. Qui, si vive una sensazione di tranquillità, la luce si specchia sull’acqua, a tratti scura, a tratti colorata da migliaia di ninfee, e il silenzio – quasi assordante – diventa il vero lusso.

Continuo lungo altri vialetti, costeggio l’antica ghiacciaia commerciale, di cui rimane ora solo il portale immerso nel verde – dove depositavano il ghiaccio in attesa di essere venduto – e mi addentro nel bosco più selvaggio, caratterizzato da molte piante autoctone e da meravigliose vedute sulle marcite (zone erbose bagnate da un piccolo corso d’acqua nell’inverno per avere un taglio in più). In lontananza è ancora visibile un antico granaio, oggi trasformato in una piacevole dimora privata, e un secondo laghetto, meno romantico ma sicuramente più utile all’attività agricola di un tempo. Dopo aver attraversato un piccolo rigagnolo, che sicuramente alimenta i predetti laghetti, inizio la salita verso altre aree misteriose del parco: è pazzesco notare come ogni angolo sia diverso dall’altro e ogni cannocchiale prospettico sia rivolto verso meraviglie e delizie differenti. Nel fitto bosco trovo persino un grande masso erratico, di memoria preistorica, e una piccola cappellina, segno di una fervente religiosità popolare dei contadini che lavoravano, spesso in mezzadria, ed invocavano la protezione dei campi.

Dopo una bella camminata, mi avvicino all’ultimo tratto di parco, in quella che potrebbe benissimo essere definita l’area dello svago all’aria aperta, e mi accorgo che effettivamente è una delle aree più interessanti di villa Carcano! Questa zona, in linea con gli usi ottocenteschi, è perfettamente suddivisa – per fortuna senza confini fisici – in due parti differenti, così da separare gli svaghi delle nobildonne da quelli dei gentiluomini. Per questi ultimi, troviamo un enorme albero “bagolaro”, da sempre utilizzato come piccola riserva di caccia ai volatili, e uno storico campo da tennis, dove i rampolli delle nobili famiglie si sfidavano in simpatici tornei. E per il gentil sesso? Sicuramente le dame non stavano troppo vicino ai rumori assordanti delle carabine o agli schiamazzi di giovanotti sportivi, preferivano isolarsi in spazi tranquilli, più protetti, e sorseggiare una tazza di te o dissetarsi con una fresca limonata.  Infatti, a ben 400 metri circa dal tennis, si trova una piccola struttura circolare semichiusa, con tanto di tetto, porta e finestre sempre aperte: una vera e propria “Kafeehaus” d’altri tempi. Questo luogo era originariamente la ghiacciaia padronale, ma venne trasformata in un “salottino nel parco”, con tanto di caminetto e decorazioni, dove le nobildonne organizzavano “dolci” pause dopo le lunghe passeggiate, continuando all’aperto le loro interminabili conversazioni.

Arrivato a questo punto, il mio percorso è quasi terminato, ritorno sul vialetto romantico e, dopo pochi passi, mi ritrovo di nuovo al cancello d’ingresso. A differenza dell’andata, la prospettiva è al contrario: fuori c’è un mondo davvero diverso, passano macchine in continuazione, le persone corrono nei negozi lungo la strada e tutto sembra molto, ma molto più caotico.

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