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Chiunque viva ad Erba (CO), nella bella cittadina a metà strada tra Lecco e Como, penso che almeno una volta nella vita abbia sentito parlare “della Clerici”, anche solo come punto di riferimento toponomastico per indicare la salita da percorrere per raggiungere la “città alta”, la frazione di Crevenna. Svelando l’arcano segreto, questa famosa “Clerici”, altro non è che il nome di una delle più affascinanti ville di Erba, “villa La Clerici”, situata proprio lungo la famigerata salita. Il nome della dimora però non è chiarissimo, fa sorgere qualche dubbio: per quale motivo il nome proprio della famiglia è preceduto da un articolo, “La”? Le ipotesi sono differenti, però la tesi più esaustiva giustificherebbe il bizzarro nomignolo attraverso il fatto che la dimora sia da intendere come una vera e propria area, un complesso. La villa infatti nasce da una precedente filanda, con annesso un grande filatoio, della Ditta Giuseppe e Flli Clerici, e ancor oggi, nonostante la trasformazione, mantiene ancora gli edifici del complesso, ben distinti, ma con funzioni diverse. Pare un’area a sé stante, auto sussistente, un piccolo mondo segreto nella città.

 

Alla fine dell’Ottocento, l’ing. Carlo Clerici, fonda con Thomas Edison la Edison Clerici & C per la fabbricazione di lampadine elettriche.  Successivamente, nel 1930, entra nel gruppo Osram dando origine a Milano alla “Osram Edison Clerici”. Nei primi del 900 trasformò la vecchia filanda, ormai ferma da qualche decennio, in villa di delizia.

Per scoprire e approfondire questa meravigliosa dimora, incontriamo il sig. Eric, il quale pare essere diventato una sorta di “valorizzatore” della dimora. Abbiamo parlato di un meraviglioso progetto di valorizzazione della villa attraverso visite guidate, eventi esperienziali, cene nei salotti e brevi soggiorni. Un’idea che, se sviluppata, sarà in grado di rispolverare la storica funzione dell’edificio, il motivo per cui è nato: ospitare gente, trascorrere momenti lieti in campagna e divertirsi nel corso della bella stagione.

Eric mi mostra la villa, entriamo nella vecchia limonaia e nella sala biliardo, un tempo filanda con circa 40 bacinelle; poi attraversiamo un passaggio coperto, per accedere nel piccolo teatro di inizio Novecento, anch’esso realizzato nell’ex struttura industriale. Questo ambiente è meraviglioso, mi sembra di rivivere per un attimo le atmosfere di un tempo: vedo le storiche poltroncine impolverate, che attendono da molto qualche spettatore; sulle pareti di fondo, fanno bella mostra 2 grandi quadri rappresentanti pezzi di una città… e scopro essere scenografie post-futuristiche; apro una porta accanto al palcoscenico ben strutturato, e mi si apre davanti un piccolo tunnel oscuro, che porta al “dietro le quinte”, o, attraverso una scaletta un po’ “sgarruppata”, direttamente sul palco. A lato c’è un organetto a manovella, e subito parte nella mia mente un suono rauco, festoso, a tratti un po’ stonato, ma che fa festa. Forse era lì per i sottofondi musicali degli spettacoli, oppure per gli intermezzi? Non si sa. Erica mi fa presente che in villa si era soliti ospitare molti intellettuali, e il teatrino domestico sicuramente era un buon intrattenimento culturale. Pensate che persino il Vate, Gabriele D’Annunzio, scrisse una poesia per la bisnonna Emma, ancor oggi custodita dalla famiglia in un grande librone. Che bello vedere come un luogo di fatica, che ospitava tante donne ricurve sulle bacinelle caldissime – intente a cercare l’inizio del filo di seta che crea il bozzolo – sia diventato un luogo di divertimento!

 

Usciti dal teatrino, ci appare subito il giardino romantico, simil inglese. Intraprendo il vialetto principale, quello che porta alla casa padronale, ma che devia anche verso il campo da tennis ed il laghetto privato. Mi soffermo sulle “rive” di            quest’ultimo, lo osservo con attenzione, noto delle balaustre sui lati, un ninfeo con tanto di statua nella nicchia…più che un laghetto mi pare una grandissima fontana, quella dei grandi giardini cinquecenteschi del centro Italia. Eric mi spiega che un tempo era una vasca di raccolta delle acque utili all’attività serica, ma che l’ing Clerici trasformò in laghetto.

A questo punto, Eric estrae dalla tasca una vecchia cartolina e mi fa vedere una bambina d’altri tempi su una piccolissima barca, intenta ad attraversare quella vasca. Oggi, non è più solo un luogo di contemplazione, lo si usa anche per giochi balneari e svago,  e lì accanto c’è una casetta provvisoria a mo’ di moderno spogliatoio.

Dopo aver attraversato un altro vialetto del giardino, si arriva all’ingresso della villa padronale, entriamo da una porta antica e subito mi si presenta la hall d’ingresso, con un’atmosfera tipica di fine Ottocento. A tratti mi pare un locale neo barocchetto, il soffitto è interamente decorato con bizzarre volute, e la parte bassa del locale, ospita una libreria di libri antichi e, sulla parete di fondo, un grande quadro rappresentante un uomo anziano con barba e una toga di ermellino. Eric me lo presenta: è il padre magistrato dell’Ing. Carlo Clerici, lo storico proprietario della villa. Probabilmente campeggia lì all’ingresso quasi a voler ricordare agli ospiti le origini del padrone di casa, il suo caro padre.

Da un’altra porta storica, accediamo al grande salone, che ci appare in tutta la sua grandezza, ed è davvero emozionante. Eric mi ha appena spiegato che si tratta di una dimora di fine Settecento, perché, come ho anticipato prima, in quel periodo lo stabilimento è stato rifunzionalizzato in casa di villeggiatura… eppure questa sala mi pare un fastoso salone barocco. E’ alto circa 9 metri e, a metà altezza, corre una balconata in ferro, una sorta di loggia di “memoria barocca”, ed un tempo serviva a controllare i macchinari dell’originario filatoio. Anche in questo ambiente, le preoccupazioni dei lavoratori si sono trasformate in sorrisi delle dame; l’odore della trattura del filato si è convertito in profumo di fiori freschi nei grandi vasi; gli angusti sgabelli, utilizzati raramente da chi lavorava sodo, sono diventate grandi poltrone, canapè antichi e sedie eleganti. In fondo alla sala spicca un grande camino e, sopra allo stesso, si intravede un enorme quadro di donna, quasi a sottolineare la maestosità della casa e l’importanza della famiglia.

A questo punto, per gustarmi meglio la bellezza del salone, mi siedo su un divanetto di inizio Novecento, resto ad ascoltare la musica del pianoforte antico della sala – suonato per l’occasione da una ragazza della famiglia – e mi sento proiettato nel lontano passato della villa. Per un momento sono un invitato di un tempo, un amico di casa, e da un momento all’altro mi aspetto che l’ingegnere sbuchi da qualche porta, probabilmente ad avvisarmi che stanno per arrivare gli altri ospiti – del resto in pochi in quel salone ci si perde.

Passo poi nella sala da pranzo, interessante locale oggi un po’ anacronistico. Qui il tempo sembra essersi fermato, nel pieno rispetto delle regole d’etichetta delle signore dell’alta società, attentissime a comportarsi bene a tavola, perché valeva quel detto: “dimmi come mangi e ti dirò chi sei”. E negli antichi armadi, vi sono ancora le stoviglie antiche, le posate e le bellissime tovaglie di un tempo. Prendo a caso un piatto fondo, lo giro, e noto, sul retro del piatto, due spade blu incrociate: sono di Meissen! E sono tantissimi…

Successivamente, si accede nella sala degli antenati, un piccolo salottino azzurro, con molti ritratti appesi alle pareti. I proprietari fanno fatica a ricordare tutti i nomi – i quadretti sono tantissimi – però è bellissimo sentirla soprannominare “la stanza dei nonnini”. Da lì, si scende da una scala di servizio, sulle cui pareti ci sono tantissime stampe che raccontano la storia dei Promessi Sposi del Manzoni, e si arriva nella grande cucina della villa. Qui, le finestre sono grandissime, anche perché un tempo quel locale faceva parte della filanda, poi, si sono conservate comunque: del resto avere ampie aperture in cucina evita l’accumulo degli odori molesti.

Sul retro della cucina, Eric mi fa entrare in una piccolissima stanza, con un grande armadio decorato e parecchi quadri di santi e papi del passato: è una sacrestia domestica. Eric apre un’anta ed estrae un paramento sacro, probabilmente dei primi anni del Novecento. Successivamente, da una piccolissima porta, entriamo nella cappella privata di casa, dedicata a San Francesco. Passo dal piccolissimo presbiterio, completamente in legno, compreso l’altare (una rarità), e scendo tra le panche dei fedeli. Mi siedo, come un membro della famiglia, e mi guardo attorno: non ci sono finestre, è davvero un ambiente raccolto, quasi in penombra. Sulle pareti però è un florilegio di colori, ci sono grandi quadri che rappresentano la vita di San Francesco, ma i personaggi non sono cavalieri o frati medioevali, ma bravi e matrone seicentesche di manzoniana memoria. Usciamo dalla porta principale, quella da cui anche il pubblico esterno accedeva alla chiesetta, e ci ritroviamo nel cortile d’ingresso.

Finiamo così la visita guidata. Straordinaria. Non pensavo che nella piccola città di Erba ci fosse una dimora così interessante, addirittura la villa di un socio di Edison, uno dei padri delle nostre lampadine! Non vedo l’ora di proporla ai clienti di Villago e far rivivere a tutti queste meravigliose esperienze.

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