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Montevecchia: “piccolo monte” della Brianza, a circa mezzora da Milano, svetta maestoso e solenne sulle pianure circonvicine. E’ affascinante ed elegante con le sue terrazze coltivate, le coste alberate e verdeggianti ed il suo santuario posto in cima, che brilla nelle sere limpide, e sembra voler indicare la giusta via, come fosse la stella polare.
Nei secoli lontani era chiamato il Monte delle Vedette, proprio per merito di quell’antichissima torre di guardia che sin dal Medioevo doveva essere posizionata nel punto più alto della collina, in quel tratto in cui oggi si erge dominante il suggestivo santuario dedicato alla Beata Vergine del Carmelo. Nel tempo, il nome originario è stato storpiato e cambiato, complici i latinismi ed il dialetto, giungendo a noi come” Montevecchia”. Centottanta gradini più in basso rispetto al santuario della Madonna del Carmelo, si adagia ormai da tre secoli, tra terrazzamenti e pianori, una gentile dimora settecentesca, di foggia barocchetta: Villa Agnesi Albertoni.

L’elegante dimora è una di quelle storiche abitazioni che ho visitato e rivisitato, e che rivedrei con occhi sempre curiosi altre mille volte. L’ho conosciuta sotto una pioggia incessante, ma poi l’ho incontrata ancora ed ancora, baciata dal sole, avvolta dalle nuvole leggere e persino protetta da una quieta nebbiolina invernale, che la rende unica come un bocciolo di rosa preservato, al sicuro, sotto un velo di ghiaccio, d’inverno. È un piccolo scrigno prezioso, un luogo raccolto, curato ed ospitale, uno di quegli angoli della Brianza dove rifugiarsi per un momento di romantica quiete, una cena elegante o per il nobile momento del tè inglese. Giardini sempre in fiore, panorami dove lo sguardo si perde insieme al cuore e padroni di casa sempre cordialmente ospitali. Non si può tralasciare quel mormorio curioso di chi pettegola, passeggiando nei dintorni, e neppure l’assordante quiete. All’interno di eleganti salotti dove d’inverno le antiche stufe a legna generano un tepore che coccola come un affettuoso abbraccio. E ancora, sale affrescate con pregevoli dipinti settecenteschi raffiguranti severi dèi dell’Olimpo che quasi ammoniscono gli ospiti della villa, instaurando con loro un intimo dialogo.
Mi ha sempre affascinato scoprire i luoghi di questa dimora, nota non solo per i suoi affreschi, ma per la fama di una donna speciale: Maria Gaetana Agnesi (1718-1799), che trascorse qui numerose estati della sua longeva ed intensa vita. Si tratta di una figura straordinaria. Prima di ventuno figli, da bambina dotata di un’insolita intelligenza e poi donna colta, umile, devota e geniale studiosa. Parlava sette lingue e diede un grande contributo alla scienza. Fece scoperte considerevoli in ambito matematico, tanto che l’imperatrice Maria Teresa d’Austria la omaggiò con preziosi gioielli ed il Papa del suo tempo le offrì la cattedra di matematica all’università di Bologna. Maria Gaetana rifiutò. Dedicò un largo capitolo della sua vita al fianco dei poveri e rinunciò a tutto ciò che il ceto nobile, al quale apparteneva, avrebbe potuto offrirle. Rinnegò la sua ricchezza, gli agi di cui poteva farsi vanto, gli abiti e quei gioielli tanto invidiati e anelati da molti. Maria Gaetana nella sua villa di Montevecchia, amava restare isolata nella sua modesta, ma accogliente stanza da letto, posta nell’ala della foresteria nobile, pregando, meditando, scrivendo e studiando. Assecondava tuttavia il padre, importante commerciante di seta, intrattenendo i suoi ospiti illustri, con profondi discorsi di filosofia e scienza, parlando addirittura in sette diverse lingue, conversazione condivisa forse anche dagli affreschi di antichi dei dell’Olimpo dall’aspetto, giudicante, adagiati in luoghi bucolici, in ascolto sui soffitti e dalle pareti delle sale della villa.

Antica proprietà dei conti Panigirola, feudatari e mercanti di tessuti, questa villa doveva essere, sin dal XVII secolo una nobile residenza estiva, un luogo così “bello” da accogliere i suoi proprietari nelle campagne, non esclusivamente nel tempo della semina e del raccolto per seguire l’attività agricola collegata alla villa, ma piuttosto per godere della salubrità dell’aria, della frescura nei mesi più caldi e contemporaneamente per nutrirsi dello splendore dei paesaggi, vera medicina per gli occhi.
Nel XVIII secolo la villa, passata di generazione in generazione, giunse in dote da Anna Brivio al marito, il conte Pietro Agnesi, futuri genitori della protagonista di questi luoghi, Maria Gaetana Agnesi.
Nel corso degli anni diverse famiglie acquistarono e vendettero la villa e le sue terre, fino agli attuali proprietari. Negli anni Settanta del secolo scorso la famiglia Azzoni, originaria di Napoli, acquistò questa dimora e la ristrutturò regalando nuovo splendore ai giardini, alla dimora ed agli affreschi, facendo tornare a sorridere persino quegli antichi dèi cocciuti, che da secoli erano ormai i padroni di casa, muti testimoni di ogni storia di questa villa.

Era il pomeriggio di una grigia giornata d’inverno, umida, con una debole luce nel cielo che tentava di vincere le nuvole, quando varcai per la prima volta la soglia del cancello d’ingresso di via Largo Agnesi.

Il pesante cancello si apre lento facendomi appena intravedere un edificio maestoso dal corpo a forma di L. Superato un “labirinto” di alloro profumato, giungo in un piccolo prato, con un camminamento in pietra proprio al centro. Questo atrio verde, una sorta di “hall” per dirla all’inglese, segnava l’inizio della mia visita in Villa Agnesi Albertoni!
Un’alta siepe di carpini, dal fogliame bruno ed ormai diradato, riesce ancora a nascondere la villa. Varcato l’arco vegetale giungo in una vasta terrazza, progettata come un piccolo ma elegante giardino all’Italiana. Il corpo color giallo tenue della villa settecentesca, si erge maestoso, costituito da ben due piani divisi dal mezzanino, posto al centro. Alla mia sinistra lo sguardo è libero di volare sopra la grande pianura sottostante, punteggiata di lucine colorate.
Una fontana si erge nel centro del giardino, una Venere di pietra ed alcuni delfini l’adornano. Sul bordo noto un galeone dei pirati quasi abbandonato, forse appartenente ad un piccolo ospite della villa… Lungo il perimetro della terrazza, vasi in pietra scolpiti con fiori e frutti, si alternano con eleganza a figure di divinità femminili. Il tempo sembra essersi fermato in un’eterna primavera. Begonie rosse ordinate in vasi colorano il prato verde e scaldano l’atmosfera biancastra. Infine una balaustra in pietra abilmente lavorata ferma i miei passi, ma non il mio sguardo, che si perde oltre il giardino, fruga nella vallata tra le colline e le poche abitazioni che spezzano la melodia di una natura quasi incontaminata. Ricordo il mio ritorno in giorni d’estate, in cui il cielo terso e il sole dorato, insieme al rosso porpora dei fiori ed a piante di limone, formavano una superba tavolozza di brillanti colori, dove perdersi tra pensieri e fotografie.

Mentre passeggio, intravedo le luci accese in un salotto della villa. Non esito a schiudere il portone a vetri che si spalanca su un’affascinante galleria. Un grande tavolo di un verde sfumato tra lo smeraldo ed il verde petrolio, sul quale troneggia un vaso di fiori freschi, dai toni tenui, rende omaggio al mio arrivo. Mi trovo in uno spazio che in origine doveva essere un luogo aperto in stretto dialogo con il giardino. A sinistra del corridoio una porta semi aperta mi fa intravedere l’ampio ed elegante salone, ma non è ancora il momento di entrare, qualcosa distoglie infatti la mia curiosità. A destra dell’ingresso un maestoso scalone porta verso le camere da letto del piano nobile e della foresteria. La stessa pietra scabrosa dei camminamenti del giardino è ripresa nei gradini. Di nuovo quei vasi in fiore che ornano il giardino, sono incastonati ritmicamente anche sulla sua balaustra.

Prima di entrare nel salone, percorro curiosa l’intera galleria e raggiungo un secondo giardino che già scorgevo dall’ingresso. Mi ritrovo in una nuova terrazza e davanti a me la visuale si perde. Ho il privilegio di ammirare vedute uniche delle valli che circondano Montevecchia, e forse neppure così diverse da come dovevano apparire un paio di secoli prima. Ecco davanti a me, quello che un tempo era l’ingresso principale della villa, una salita coperta da un tappeto d’erba che invita ad entrare nella galleria. Mi pare di sentire il mormorio di fanciulle che con ombrellini da sole ricamati e cuffiette per proteggere le chiome da impertinenti soffi di vento, camminano eleganti, lente nei passi e con lo sguardo incantato, percorrono la leggera salita verso la villa. Questo doveva essere l’ingresso principale, l’entrata riservata agli ospiti; lo stemma sopra l’arco d’accesso alla galleria lo indica chiaramente.

Sulla costa della collina alla destra della terrazza, dove mi trovo, dovevano esserci un tempo balze coltivate e piantagioni di uve pregiate che ne disegnavano le forme. Mi dirigo curiosa verso un più alto pianoro. Cammino vicino a quella che un tempo era la ghiacciaia della villa e proseguo percorrendo un romantico ponticello, sotto il quale s’incrocia l’antica strada che conduce al vicino santuario della Madonna del Carmelo. Continuo il sentiero e mi ritrovo su un punto ancora più alto. Un’inaspettata veduta mi sorprende. Sgrano gli occhi alla vista di una vallata profonda e vasta, che si apre quasi sotto i miei piedi. Le nuvole basse ed il vapore nell’aria quasi gelida incorniciano il quadro sublime.

 

Rientro in villa e mi dirigo verso il primo salotto da scoprire, il più grande. Luci tenui illuminano con rispetto i soffitti e le pareti affrescate. Figure affrescate di dèi compaio eleganti: i loro corpi sinuosi si muovano silenziosi e discreti ad ogni mio movimento di sguardo. A terra noto subito il pavimento dai colori infuocati, un variegato cotto lombardo, che ben si fonde con i colori caldi degli arredi. Il calore delle stufe antiche è come una dolce carezza sulla pelle. Tre divani volti verso il grande camino in marmo verde, sorretto da una coppia di eleganti cariatidi, invitano ad accomodarsi per una piacevole conversazione.
Ogni angolo della stanza ha qualcosa da raccontarmi. Vetrinette espongono preziose porcellane che insieme a quadri ritraenti candide fanciulle in abiti settecenteschi, arredano l’elegante salotto. Ripercorro con la fantasia le mode di quei secoli lontani: immagino raffinati tessuti leggeri ricadere sul corpo minuto delle fanciulle, i loro visi candidi come neve incorniciati da preziosi monili e le pettinature elaborate come quelle di antiche sculture. Chiome con morbidi boccoli accarezzano volti di fanciulle, in contrasto con ricciute parrucche ornate dai più bizzarri oggetti. Stecche di balena sagomano i pomposi abiti delle nobili dame. Immagino ondeggiare l’immancabile ventaglio, che comunica segreti messaggi, e poi, sui bizzarri tavolini, quelle fatali dosi di arsenico ingerite soltanto per apparire più pallide. Pure follie! Il tutto, specchio di quel “vezzoso” Settecento incipriato di bellezza esteriore.

In un angolo del salotto fa da padrone un prezioso pianoforte a coda. Sul piano fotografie di famiglia ci parlano del nostro secolo. Raffinati toni caldi colorano gli accoglienti arredi della stanza e grandi porte-finestre aprono la visuale sui giardini, così il dialogo con la natura si fa ancora più forte.
Volgo lo sguardo verso le pareti ed il soffitto, come per presentarmi a quegli dèi sfacciati, affrescati con tinte smorzate, ma curiosi ed impertinenti. Diana è la padrona di casa, dea lunare col suo carro, l’arco e le frecce. È lei che ricorda come sia buona cosa comportarsi in una villa di delizia; è essenziale far riposare le proprie membra, dedicarsi all’amore, vivere le passioni, come la caccia, senza dimenticare di fare attenzione e non superare i propri limiti…

Due porte si aprono dal salone verso due piccoli salottini minori. Una porta, aperta davanti a me, invita a proseguire, entrando in quello che storicamente doveva essere il salottino degli uomini. Quel luogo dove essi si ritiravano, parlavano di affari, giocavano d’azzardo ed allietavano il trascorrere del tempo con sigari e tabacco. Intorno piccoli dettagli sono invece testimoni di una casa ad oggi sempre viva, abitata, accogliente, che ci parla dei suoi attuali proprietari. Il Signor Azzoni, originario di Napoli, ha firmato il suo salottino con una serie di dipinti celebrativi dei suoi amati paesaggi di mare, della sua terra d’origine. Quasi nascosto, riconosco appeso ad una parete un piccolo ritratto di Maria Gaetana, ma subito sono catturata dai ricchi affreschi delle pareti che mi fanno riprendere il dialogo interiore con gli dèi. Questa volta l’interlocutore è Apollo, gemello di Diana, corazzato, guerriero, virile e forte. Vicino a lui, Cronos, dio del tempo, scacciato da angioletti, a voler ricordare il vero significato della villa, ossia di un luogo quando, nella lunga estate di altri tempi durante la villeggiatura in campagna, il tempo si fermava e nessuno era padrone di scandire la vita degli uomini che vi abitavano.

Continuo la visita, spostandomi nella stanza accanto, alla scoperta del salottino delle donne, trasformato a fine Ottocento in una sala da pranzo. Mi trovo nel luogo in cui donne e fanciulle si riunivano, pettegolando come oche giulive di nuove mode, di donne di malaffare e di uomini facoltosi, spiluccando, golose, sfiziosi dolci con glasse zuccherine. In questo luogo, incontro la sinuosa figura di Venere dipinta insieme alle sue sacre colombe, simbolo di fedeltà di una famiglia unita e forte, come quella che doveva aver commissionato questo grande ciclo pittorico. Continuano poi scene delle quattro stagioni che ancora ci ricordano quanto il tempo possa correre veloce, quando è un tempo piacevole, e ci parlano dei preziosi frutti della terra che ogni stagione ci sa donare.
Mi soffermo ad ammirare finissime porcellane antiche, racchiuse in una grande credenza in legno scuro. Poco dopo, ripercorro velocemente le stanze, quasi a voler congedare gli dèi che con benevolenza mi hanno accolta. Varco la porta della saletta delle donne per lasciare definitivamente i salotti, ritrovandomi nella galleria d’ingresso; ritorno quindi nel giardino all’italiana, per osservare un’ultima volta scorci di quel paesaggio mistico, ormai vestito dei colori della sera.

 

Questa particolare ed elegante dimora, è resa ospitale dalla calda accoglienza dei padroni di casa, ad ogni mia visita. L’avvolgente tepore delle stufe accese nei mesi più freddi, il profumo della cena, che discreto fa sentire gli ospiti della villa come a casa propria, ma soprattutto la squisita gentilezza dei signori Azzoni sempre cordiali, pronti ad accogliere i loro invitati con raffinata eleganza e familiarità, lasciano sempre nel cuore di chi visita questa dimora un profondo desiderio di ritornare per scoprire nuove sfaccettature di bellezza di natura e di vita.

Per chi ancora non conoscesse Villa Agnesi Albertoni, si tenga pronto a scoprirla, sarà come per qualche ora vivere una vacanza nobile d’altri tempi!

Laura Giussani

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