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Una preziosa regola di Bon Ton per evitare un vero e proprio danno esistenziale…

 

Dopo vari studi sul tema delle buone maniere a tavola, sono sempre più convinto che tra le molteplici prescrizioni, più o meno ferree, che si sono susseguite nel tempo e nei copiosi galatei, l’unica regola davvero imprescindibile ed inviolabile, che rappresenta ormai un “dogma” più che un consiglio chic, è l’assoluto divieto di far sedere a tavola tredici persone contemporaneamente! E in tutti i libri di galateo, soprattutto nella miriade di volumi ottocenteschi, vengono forniti consigli pratici proprio per evitare l’inconveniente, che, se dovesse malauguratamente accadere, rovinerebbe il momento conviviale e metterebbe a serio rischio l’amicizia di qualche invitato. L’importanza di questa norma valica i semplici confini della buona creanza e raggiunge quelli del “trascendente”, dal momento che si basa esclusivamente su una storica superstizione, del tutto irrazionale.

Infatti, secondo la tradizione, far sedere per pranzo o cena tredici commensali attorno al medesimo tavolo, provocherebbe, entro l’anno corrente, la perdita di uno dei commensali seduti al convivio stesso. E’ evidente che una norma di questo genere doveva e deve essere rispettata: perché nonostante il superamento delle paure superstiziose, già nella seconda metà dell’Ottocento, molte persone, nel dubbio, ritenevano doveroso rispettarla! E qualcuno la rispetta ancor oggi. Montorfani raccontava di aver visto uomini alzarsi dalla sedia “come se fossero sul fuoco”, quando si resero conto di essere seduti in tredici a tavola. E ci sono galatei di fine Ottocento che consigliano di evitare in ogni modo questo numero nefasto, a costo di togliere o aggiungere un commensale anche all’ultimo minuto, perché il rischio di creare un danno esistenziale era davvero elevatissimo.  Qualcuno, infatti, di fronte all’emergenza, si era permesso di consigliare nei libri di buone maniere di implorare gli amici confinanti di villa, proprio per aggiungere all’ultimo minuto qualcuno al banchetto, o addirittura vestire di tutto punto qualche educato domestico per salvare la serata. In effetti, pensate che danno avrebbe potuto causare un atteggiamento indifferente nei confronti di un superstizioso, magari anche anziano: questo avrebbe potuto trascorrere mesi d’inferno, con la paura di passare a miglior vita, in attesa del 31 dicembre e la fine dell’anno in corso.

La tradizione però era talmente radicata – e lo è ancora per qualcuno ai nostri giorni – che non solo invadeva le sale da pranzo dei palazzi di città o delle ville di campagna, ma arrivava a condizionare anche i refettori dei frati. Il gesuita Cattaneo, infatti, ci racconta che in Sicilia un frate superstizioso, si era allontanato dal refettorio perché vi erano seduti tredici frati, e dopo qualche giorno morì. Altrettanto interessante è la lettera del capitano Orebich del 1759, con cui scriveva all’amico che i tredici frati sbarcati a Civitavecchia, quando mangiavano nel magazzino del porto, isolavano un confratello per paura di gravi conseguenze.

Ma da dove arriva questa superstizione che ha condizionato, e in parte condiziona tuttora, la vita dei commensali? Qualcuno fa risalire l’origine della superstizione al mondo antico, quando si sosteneva che nei banchetti i convitati non dovevano superare il numero delle Muse sommato a quello delle Grazie. Sempre nel mondo classico, scrive Diodoro che Filippo II, padre di Alessandro Magno, nel IV sec. a.C., venne ucciso da una guardia dopo che mise la sua statua accanto alle dodici statue degli Dei dell’Olimpo. Molti, invece, credono che questa superstizione risalga all’Ultima Cena di Gesù, perché tra i tredici commensali Giuda, pentitosi del tradimento, si tolse la vita. Probabilmente, invece, per vetustà della credenza, la vera origine andrebbe fatta risalire alla mitologia scandinava e al banchetto dei 12 Dei nel Valhalla a cui, aggiuntosi senza invito Loki, il Dio dell’astuzia, della truffa e della discordia, ne derivò una rissa e la morte di un commensale.

Oggi questa superstizione che fine ha fatto? Secondo molti è quasi sparita, del resto, come già si diceva nell’illuminismo e anche a fine ‘800, l’uomo moderno supera queste credenze con la ragione e la scienza, ma ne siamo davvero sicuri? In realtà questa paura, oggi come allora, non è mai stata superata: nelle belle residenze storiche si continuano ad invitare 12 o 14 persone, nei grandi palazzi si evita il tredicesimo piano, piuttosto lo si chiama 12a o direttamente 14°, in areo manca la tredicesima fila, i veicoli evitano la tredicesima progressione dei modelli e venerdì tredici in molte culture è proprio un giorno nefasto, quasi da evitare…

Forse ai nostri giorni un’evoluzione c’è stata: la paura del tredici oggi si chiama TRISCAIDECAFOBIA, è un nome più intellettuale, ma comunque figlio di una certa arretratezza. La verità è che la superstizione è dura a morire, da sempre ha condizionato e condiziona tuttora le nostre vite e, inevitabilmente, non poteva che condizionare anche le nostre buone maniere!

Giovanni Vanossi

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